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Alcune riflessioni su come questa epidemia ha influenzato e influenza la nostra professione.

1) Non essendoci certezze scientifiche né protocolli certi  (vengono modificati praticamente di giorno in giorno e variano non solo da regione a regione , ma da ospedale a ospedale)  noi medici che curiamo questi ammalati abbiamo cominciato a riflettere, esaminare e riesaminare con attenzione i pazienti, il decorso clinico, la reazione alle terapie empiriche. Ci siamo trovati improvvisamente, per la natura stessa dell’epidemia, in una situazione dove il fronteggiare una malattia era stato affidato a epidemiologi, microbiologi, scienziati che ogni giorno ci ricordavano che nessun trattamento se non il supporto ventilatorio alla respirazione, si era dimostrato essere efficace in questa malattia. Nell’era delle linee guida basate giustamente sull’evidenza di studi randomizzati controllati siamo rimasti frastornati  dai dati contraddittori che ci derivavano dai pochi studi eseguiti su pochi pazienti, di età diversa, in stadi diversi della malattia.

Per alcuni medici l’incertezza ha portato ad astenersi da qualunque iniziativa, ma per la maggioranza ha invece significato riprendere in mano le nozioni di fisiopatologia, microbiologia, farmacologia, ma soprattutto di seguire attentamente questi pazienti e le loro diverse co-patologie presenti nel 30-40% dei casi e applicare in maniera ragionata le terapie disponibili. Un esempio è l’uso dell’idrossiclorochina (si, no, forse): è un farmaco che, poiché riduce la penetrazione virale nelle cellule, verosimilmente va somministrato precocemente, all’inizio dei sintomi e controllando la situazione cardiaca ed elettrocardiografica (misurazione Q-T), mentre il suo effetto nelle fasi tardive della malattia è probabilmente nullo. Altro esempio è la vitamina D: l’osservazione di autorevoli membri dell’accademia che essa potrebbe coadiuvare a ridurre la reazione infiammatoria anche se non ancora provata potrebbe essere di aiuto nel caso di grave deficit della stessa come riscontriamo in tanti ammalati COVID. E ancora l’enoxeparina su cui tutti ormai concordano nonostante l’assenza di grossi studi randomizzati per la grave componente trombo embolica presente in questa patologia: ma a che dosaggi ? Chi dice 50 chi 100 U/Kg chi una o due volte die, chi usa dosi scoagulanti etc, ma ovviamente essi dipendono da molti fattori: la funzione epatica, la fragilità, la presenza di arteriopatia coronarica o sistemica etc.

Infine il lavorare insieme, internisti, cardiologi, infettivologi, ematologi, nefrologi, radiologi con umiltà per far fronte alle tante complicanze (scompenso cardiaco, sovra infezioni, insufficienza epatica, trombosi) ha sicuramente contribuito a ridurre la virulenza della malattia nelle ultime settimane.

2) Il cambiamento della frequenza e importanza delle diverse patologie configura uno scenario epidemiologico nuovo che dobbiamo comprendere bene. È noto che si sono ridotti moltissimo gli incidenti stradali per ovvi motivi legati alla pressoché assenza di traffico. È meno ovvio, ma è un dato di fatto che sono aumentate le violenze domestiche e i femminicidi verosimilmente legati al lockdown. Ma  rimaniamo nel mio settore , la cardiologia: sono molto diminuiti gli accessi in PS per infarto miocardico (e mi riferiscono i neurologi anche quelli legati allo stroke ) e quelli che vi accedono sono più complicati per arrivo tardivo. Il tutto è stato attribuito alla paura dei pazienti di ricorrere ai pronti soccorsi affollati di pazienti COVID infetti e senz’altro questa componente è presente. Tuttavia è possibile anche che vi sia una diminuzione reale di infarti e stroke legata al profondo cambiamento di stile di vita in questi due mesi : pasti regolari e probabilmente più sani, più sonno, meno stress lavorativo, meno stress nei trasporti . Abbiamo provato ad avere dati di supporto, ma è molto difficile accedere a dati certi: forse l’Accademia potrebbe farsi carico di consentire l’accesso ai dati regionali per capire meglio i cambiamenti che ci attendono e quindi poterci preparare in modo più adeguato.

 

Patrizia PRESBITERO