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L’epidemia da COVID-19 in Piemonte

Per ogni Medico è importante conoscere la Storia della Medicina: la parola “epidemia”, evocativa di ricordi, rammenta che una volta c’erano la peste, il vaiolo, la tubercolosi, la mitica spagnola del 1918.  Descrizioni delle pestilenze si trovano nella Bibbia, nei classici latini, nel Decameron, nei Promessi Sposi e nella Peste di Camus. Lo stesso concetto di malattia dilagante è stato alla base dell’invenzione della Sanità Pubblica con la creazione dei Lazzaretti dove rinchiudere gli infetti.

Eppure la storia non ha insegnato, se davanti all’approssimarsi di una malattia annunciata e temuta quasi tutte le realtà sanitarie importanti di questo paese hanno commesso l’errore di sottovalutare il rischio e sminuire le poche difese che il sistema poteva ancora mettere in campo.

All’inizio abbiamo avuto queste istruzioni: le mascherine non servono, l’alcool serve solo a lavare i vetri, la pulizia ambientale non è necessaria. Per chi si era preparato alla SARS nel 2003 e alla peste suina del 2009 queste istruzioni sembravano un po’ limitative della vera portata del pericolo. Allora ci eravamo attrezzati con corsi sul lavaggio delle mani, predisposizione di piani di emergenza, scorte di materiali. Dopo una settimana è cominciato a cambiare tutto, ma soprattutto ha stupito l’atteggiamento delle Autorità Sanitarie teso a negare il problema perseguitando chi lo fa notare, poi ammettendo ma  sminuendone la portata e ridicolizzando chi protesta, poi le manovre per contenere quando ormai il contenimento non è più fattibile e poi la gestione malaccorta.

Credo sia mancata fondamentalmente soprattutto l’attività delle Direzioni Sanitarie dove nel tempo più che l’attività di Igiene e prevenzione si è preferito seguire percorsi per una carriera Direzionale Aziendale nella speranza di accedere all’Olimpo delle Direzioni Generali. Una volta le Direzioni Sanitarie controllavano tutto quello che accadeva in un Ospedale, ora si limitano a prendere ordini da Dirigenti Amministrativi sempre più interessati ad evitare i problemi che ad affrontarli.

Nel tempo si è persa infatti anche la capacità di intervenire sui fenomeni clinici con rapidità, delegando  questa funzione ai servizi di emergenza e urgenza cioè i Pronto Soccorso-DEA, diventati di fatto un Servizio sanitario parallelo e alternativo a una gestione territoriale sempre più basata sul privato convenzionato dove dirottare i fondi della Sanità pubblica.

Ma sopratutto è mancato l’ascolto dei medici clinici, gli unici in grado di indirizzare la gestione di percorsi che sono stati invece imbalsamati in cosiddetti PDTA applicabili anche da un impiegato e dove la risorsa della capacità clinica è stata mortificata, dove si è limitata la prescrivibilità dei farmaci svilendo la capacità professionale.

La catastrofe della Medicina territoriale è tutta li, dove per prescrivere un farmaco o un pannolone devi compilare un PT di 11 pagine e se sbagli una casella il paziente deve tornare e devi rifare il tutto da capo perchè allo sportello non vogliono correzioni.

Io ho rinunciato ad una carriera in Direzione Sanitaria quando mi hanno detto: “tu dici quello che pensi”,  questo è molto grave perchè implica il fatto che molti colleghi non dicono ciò che pensano ma altro, allora  ho preferito fare il clinico dove almeno le soddisfazioni te le danno i pazienti e non i Direttori Generali.

 

Patrizio SCHINCO