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RIFLESSIONI BIOETICHE DELL’ORDINE DEI MEDICI SUI SUICIDI NEL CARCERE DI TORINO

 

 

In questo mese due giovani donne detenute nel carcere di Torino sono morte, l’una suicidandosi e l’altra lasciandosi morire di fame e di sete. Prima di loro altre due persone si erano tolte la vita.  

L’Ordine dei Medici di Torino vuole proporre alcune riflessioni sulle cause che possono portare a questi tragici eventi, innanzitutto sottolineando che il carcere può sospendere il diritto alla libertà (facendo scontare una pena che non mortifichi la dignità Umana), ma non annullare gli altri diritti fondamentali, come quello alla salute e alla risocializzazione, anche se nella realtà quotidiana è spesso irrisolta la contraddizione tra l’esigenza di sicurezza e il rispetto dei diritti costituzionali.

Il detenuto limitato nella libertà personale mantiene dunque integri tutti i diritti dell’essere umano, incluso quello alla salute. Questo stabilisce la legge e questo è rimarcato dalla Consulta Nazionale di Bioetica (CNB) nei documenti elaborati dal 2008 ad oggi su salute, suicidio e salute mentale in carcere.  I documenti del CNB offrono analisi e conclusioni che come Ordine dei medici condividiamo pienamente. Ne riportiamo alcuni passi che aiutano la comprensione di quanto accaduto nel carcere di Torino e offrono indicazioni per possibili cambiamenti.

«I dati internazionali ci dicono che i detenuti godono di livelli inferiori di salute rispetto a chi sta “fuori” e che la salute mentale rappresenta l’area più critica. Dunque il carcere è chiamato in causa come ambiente che mina la salute mentale. È parimenti a popolazione generale, ivi compresa la salute mentale, anche prima di entrare in carcere. La OMS prende anche atto del carattere intrinsecamente patogeno del carcere, sottolineando che “l’ambiente della prigione è, per sua natura, normalmente nocivo alla protezione o al mantenimento della salute mentale di coloro che entrano in carcere e ivi sono detenuti”.

Vanno inoltre individuati i momenti critici della carcerazione, che più mettono a rischio la salute mentale delle persone: uno di questi è l’ingresso in carcere, che può generare una vera e propria “sindrome da ingresso” con fenomenologia di disturbi psichici e psicosomatici. Circa lo stato di salute mentale delle persone che entrano nelle prigioni, la OMS ricorda che “i detenuti spesso provengono da comunità notevolmente deprivate o povere”, citando ricerche che mostrano come nelle comunità più deprivate si riscontrino livelli più alti di cattiva salute, maggiore morbilità psichiatrica e molte problematiche sociali”. Tenere presenti questi fattori di vulnerabilità psicosociale ha conseguenze sul piano degli interventi, come spiega in dettaglio la OMS: “Aiutare i detenuti a mantenere il loro benessere o curare chi soffre di scarsa salute mentale non significa solo offrire i giusti farmaci e trattamenti psicologici adeguati, ma anche aiutarli a far fronte ai loro bisogni fisici e sociali”.

L’invito è perciò a predisporre un ambiente sufficientemente “sano”: nel senso di sufficientemente adeguato a mantenere la salute mentale delle persone e a non aggravare lo stato di chi già soffre di disturbi. Oltre ai requisiti strutturali dei locali di detenzione (ampiezza sufficiente, illuminazione con luce naturale e artificiale, aerazione, riscaldamento, dotazione di servizi igienici riservati, decenti, razionali e puliti), si raccomanda l’attenzione agli aspetti psicologici e relazionali (come la possibilità per i detenuti di mantenere rapporti anche intimi con persone significative, il rispetto della privacy, l’offerta di attività per impegnare il tempo).

Questo approccio comprensivo alla salute mentale presuppone il coinvolgimento di diversi livelli di responsabilità. La predisposizione di un ambiente (fisico, relazionale, trattamentale) il più possibile salutare dipende dall’amministrazione penitenziaria, e infatti si raccomanda che “la promozione della salute mentale e del benessere siano fattori centrali nella politica di governo del carcere”. Tuttavia, dopo il passaggio della sanità al Servizio Sanitario Nazionale, anche le autorità sanitarie dovrebbero curare questi elementi di base della salute mentale, in quanto istituzioni che operano in prima linea per la concreta affermazione del diritto alla salute delle persone detenute, e della parità di tutela con i cittadini che godono della libertà. È questo il senso di avere oggi un unico sistema a tutela di tutti i cittadini e le cittadine, fuori e dentro le mura.

Dopo la riforma, il bene salute acquista una sua autonomia in quanto diritto, che il nuovo sistema sanitario - non a caso autonomo dall’amministrazione penitenziaria - è chiamato a rappresentare e garantire. Ma l’autonomia istituzionale non sempre si traduce in autonomia culturale nelle pratiche quotidiane in cui è impegnato il personale che dipende dal SSN: ed è evidente la maggiore difficoltà da parte dello staff sociosanitario a interloquire con le autorità carcerarie circa le caratteristiche psico-socio-ambientali dei penitenziari, per quanto si tratti di personale normativamente non dipendente dall’amministrazione penitenziaria».

Ritornando alla situazione del carcere di Torino, ancora due osservazioni.

Delle quattro morti degli ultimi mesi ben tre erano donne. Non a caso. Le donne detenute, infatti, presentano un disagio psichico maggiore degli uomini.

I dati nazionali del Report dell’associazione Antigone 2022 (https://www.rapportoantigone.it/primo-rapporto-sulle-donne-detenute-in-italia/) ci dicono che il 63,8 % fa regolarmente uso di psicofarmaci e gli atti di autolesionismo nel 2022 sono stati il 31%, il doppio di quelli degli uomini, come i tentati suicidi (3,7 %).

Guardando al tasso di suicidi, ossia la relazione tra il numero dei casi e la popolazione detenuta media, nel 2022 si osserva un valore molto più alto per le donne che per gli uomini. Il primo corrisponde a 2,2 suicidi ogni 1000 persone, il secondo a 1,4. Si tratta in ambedue i casi di cifre altissime, considerando che nella popolazione libera il tasso è pari a 0,07 suicidi ogni 1000 abitanti.  

Siamo consapevoli che a Torino istituzioni, professionisti, associazioni, gruppi di lavoro interistituzionali si occupano della salute dei detenuti.

Per quanto riguarda l’ASL, in particolare, l’effettiva possibilità di tutelare la salute dei detenuti è anche condizionata dall’annosa cronica carenza di risorse economiche e di professionisti, le cui conseguenze negative ricadono indubbiamente su tutta la popolazione, ma con anticipo, maggiore evidenza e drammaticità tra le fasce deboli, persone detenute incluse.

In conclusione, tutto ciò considerato, questo Ordine ritiene che per tutelare la salute dei detenuti ora occorra da parte di chi ne ha la responsabilità un coraggioso, rapido, ideale e concreto cambio di passo per intercettarne i bisogni, il malessere, le fragilità e prevenire le conseguenze drammatiche della carcerazione.

 

 

23 agosto 2023