La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?
Secondo un documento pubblicato da due docenti dell’Università di Torino molti pazienti con infezione da Sars-CoV-2 mostrerebbero «un’elevata prevalenza di ipovitaminosi D». Il farmacologo Filippo Drago: correlazione non dimostrata scientificamente
Assumere vitamina D per combattere la pandemia da coronavirus? Da alcuni giorni il “consiglio” gira sul web e sui social. Ma quanto c’è di vero? Tutto nasce da un’analisi condotta da due docenti dell’Università di Torino, Giancarlo Isaia e Enzo Medico. Il lavoro, sottolineano gli autori, analizza possibili concause per lo sviluppo di Covid-19 e propone la vitamina D (che in realtà è un ormone) «non certo come cura, ma come strumento per ridurre i fattori di rischio». I primi dati raccolti dai due studiosi indicano che molti pazienti ricoverati per la patologia presentano un’elevatissima prevalenza di ipovitaminosi D. Isaia e Medico sottolineano però che non si tratta di uno studio clinico conclusivo e che i risultati non sono stati pubblicati su alcuna rivista scientifica. «Lo spirito del documento non è dimostrare l’efficacia della vitamina D specificamente sull’infezione da Sars-CoV-2, bensì richiamare l’attenzione generale sulla necessità di assicurare a tutti i soggetti anziani normali livelli di questa vitamina — sottolineano gli autori —, onde evitare che molti di essi, soprattutto quelli a rischio, possano ritrovarsi più esposti al danno conseguente alla patologia da Covid-19».
«Nessun collegamento con Covid-19»
La riflessione dei due docenti ha suscitato molto interesse nella popolazione (ed è stata ripresa da numerose testate giornalistiche e siti internet), ma è stata criticata da parte della comunità scientifica. Luca Richeldi, primario di Pneumologia del Policlinico Gemelli di Roma e membro della Commissione tecnico-scientifica del Ministero della Sanità, ha espresso con molta chiarezza i dubbi al riguardo: «La vitamina D va integrata quando è carente, ma non ha a che fare con il coronavirus. Ovviamente una persona che ha carenza di questa vitamina ha un sistema immunitario non efficiente, ma non c’è alcun collegamento. Bisogna stare attenti, anche perché abusandone si rischia l’insufficienza renale».
«Solo il vaccino ci può proteggere»
«La vitamina D, così come altre sostanze (vitamina C, glutatione), può contribuire a rafforzare le difese immunitarie, se assunta con continuità, ma certamente non previene l’infezione da Sars-CoV-2 — conferma Filippo Drago, docente di Farmacologia e direttore dell’Unità di Farmacologia clinica al Policlinico di Catania —. Solo un vaccino potrebbe difenderci dal coronavirus, promuovendo la formazione di anticorpi specifici. Un generico rafforzamento del sistema immunitario non ci mette al riparo dal contagio e dall’aggravarsi dell’infezione. Quindi ipotizzare un’azione diretta della vitamina D nei confronti di Covid-19 non avrebbe alcuna base scientifica. Aggiungo che i dati di letteratura ad oggi disponibili mostrano che questa sostanza agisce principalmente sull’immunità innata, stimolando la formazione di particolari cellule e aumentando la resistenza ai patogeni. Esistono però studi secondo cui la cosiddetta “immunità adattativa”, formata principalmente dai linfociti, potrebbe essere addirittura inibita da alte dosi di vitamina D. Dunque la prudenza è d’obbligo. Infine, dobbiamo consigliare a tutti la vitamina D perché “male non fa”? Direi di no: gli integratori a basse dosi non incidono sui livelli della sostanza nel sangue e la supplementazione farmacologica, l’unica efficace, viene prescritta solo a fronte di una carenza comprovata da esami ematici».
Sostegno al sistema immunitario
Per Maria Luisa Brandi, presidente della Fondazione Firmo (Federazione italiana ricerca sulle malattie dell’osso), «puntare sulla prevenzione e raccomandare di alzare i livelli di vitamina D per sostenere il nostro sistema immunitario può solo portare a un effetto positivo, anche se certamente non misurabile. Ma va ricordato che la vitamina D non può e non deve essere considerata la panacea per tutti i mali — avverte Brandi, professore ordinario di Endocrinologia e malattie del metabolismo all’Università di Firenze, responsabile del Centro regionale di riferimento su Tumori endocrini ereditari e direttore dell’Unità operativa di Malattie del metabolismo minerale e osseo dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Careggi —. L’obiettivo primario di questo ormone è regolare il metabolismo minerale, in prevenzione sia primaria che secondaria dell’osteoporosi, che si stima arrivi a colpire fino a 5 milioni di italiani».
Dosaggi molto alti
«È chiaro che non disponiamo di dati specifici sulla vitamina D nell’infezione da coronavirus — aggiunge Brandi —. Nella popolazione molto anziana la carenza è normale se la sostanza non viene somministrata come supplemento, quindi non è facile mettere in correlazione bassi livelli di vitamina D con un’infezione complicata da Covid-19. Le pubblicazioni degli ultimi 30 anni ci dicono che questa sostanza ha un effetto importante sulle nostre difese naturali, ma i dosaggi che dovremmo somministrare per influenzare la risposta immunitaria sono un po’ troppo alti e non possono essere raccomandati a tutti».