Piattaforma digitale «la nuova metodologia di approccio» dell'Accademia di Medicina di Torino
Giancarlo Isaia inaugura «la nuova metodologia di approccio» dell'Accademia di Medicina di Torino, una piattaforma digitale che consente di raggiungere la cittadinanza in un momento in cui la fase 2 non permette ancora di ritrovarsi nell'aula magna di via Po 18. Saluta amici di Roma, Bari, Siena, Mantova, Perugia e illustra le reazioni dell'Istituto Superiore di Sanità al contributo elaborato insieme al prof. Enzo Medico sul ruolo dell'ipovitaminosi D rispetto al Covid. Dapprima è stato bollato come “fake news” per poi ammettere a due mesi di distanza che la vitamina D riduce la perdita dell'olfatto e del gusto, un sintomo della malattia. “Presenta il suo schermo” il prof. Enzo Medico, illustrando come funzioni la vitamina D, quanto la carenza favorisca il contagio o indebolisca l'organismo al punto da facilitare l'aggravarsi della malattia. Più che una vitamina, siamo in presenza di un ormone che si lega ai recettori nelle cellule, «induce una riprogrammazione cellulare», «un segnale che l'organismo usa per comunicare alle cellule». Tra le cause principali per la carenza di vitamina D cita l'inadeguata esposizione alla luce solare, la mancata assunzione col cibo (gamberetti, tonno, salmone, «anche la trota!»), difficoltà a livello di assorbimento, attivazione e resistenza delle cellule periferiche. Ne consegue il rachitismo o l'osteomalacia, raffigurati come la parte emersa di un “iceberg” che cela, tra le altre, malattie infettive e autoimmuni. La carenza di vitamina D potrebbe favorire un contagio da Sars-CoV-2? E' coinvolta nella regolazione del sistema immunitario, ne sono recettori molte cellule, i macrofagi dell'immunità innata innanzitutto, poi quelle del sistema immunitario adattativo per le quali ha una funzione «mitigante» (riduce gli eccessi della risposta immunitaria). Induce inoltre la produzione di peptidi, la catelicidina coinvolta nei virus respiratori e la “defensina” che combatte l'influenza. Cita
una metanalisi del 2017 che ha considerato 25 studi randomizzati (oltre undicimila casi esaminati), evidenziando come la supplementazione di vitamina D riduca di due terzi l’incidenza di infezioni respiratorie acute nei soggetti con livelli di 25(OH)D (calcidiolo) inferiori a 16 ng/ml. Uno studio recente (D'Avolio 2020) condotto all'Ospedale Amedeo di Savoia e a Bellinzona ha misurato livelli di vitamina D in pazienti confrontando casi negativi e positivi al Covid, per i positivi la media si attesta su 11 ng/ml.
Nella fascia d'età 50-90 anni il contagio è più frequente nei soggetti di sesso maschile. Le donne assumono più frequentemente vitamina D contro osteoporosi e osteomalacia, La stessa Agenzia Nazionale del Farmaco (Aifa) registra per il 2018 un'esposizione al farmaco per il 41% delle donne e solo per il 12% degli uomini. Nell'aggravarsi del Covid, la vitamina D riduce la tempesta citochinica, in particolare agendo sull'Interleuchina 6 (IL-6). Interessante la considerazione finale sul rapporto scienza e mezzi di comunicazione. Il contributo dei proff. Isaia e Medico è stato reso pubblico dopo una rivalutazione condotta con i soci dell'Accademia, con il rettore e vice rettore dell'Università di Torino. L'ipotesi della necessità di adeguati livelli plasmatici di vitamina D per determinare una maggiore resistenza all'infezione COVID-19 ha suscitato una polarizzazione tra entusiasmo e scetticismo che è andata a discapito del corretto rifarsi alle basi scientifiche.
Dario Roccatello illustra l'andamento dell'infezione da Covid dopo cinque giorni di incubazione. Sottolinea l'importanza della scelta di adottare uno schema, un atteggiamento comune per il trattamento di forme severe di malattia, condividendo un protocollo tra infettivologi, reumatologi, farmacologi. La sperimentazione del farmaco “Tocilizumab”, somministrato sulla base di almeno tre indizi (quadro febbrile, compromissione polmonare, Ferritina, LDH, CRP, D-dimero, IL-6), prevedendo una seconda dose qualora non si verificassero significativi progressi, ha dato origine ad uno studio coordinato dal dott. Savino Sciascia, pubblicato il primo maggio e risultato il giorno successivo l'ottavo articolo più letto al mondo secondo la “National library of Medicine”. Il medesimo dott. Sciascia illustra la natura del lavoro «pilota, sperimentale, di prospettiva». Il farmaco è un anticorpo monoclonare che inibisce l'interleuchina 6 agendo sul recettore. Nello studio si sono seguiti per due settimane 63 pazienti (88% maschi, 62 anni di età in media) con una comorbilità del 40%, in particolare ipertensione. 34 sono stati trattati con Tocilizumab in endovena, gli altri sotto cute, senza riscontrare differenza tra le due modalità di somministrazione. Per il 40% dei casi nel giro di ventiquattr'ore si è portato a risoluzione lo stato febbrile.
Nel webinar viene particolarmente apprezzato l'intervento di Chiara Bertino e Daniela Silengo dell'Ospedale Giovanni Bosco. Iniziano la narrazione della loro esperienza in terapia intensiva dallo «stravolgimento architettonico e strutturale dell'Ospedale». Si sono realizzati dei tendoni di fronte al Pronto Soccorso per consentire l'accesso diversificato di pazienti potenzialmente infetti, architetti e ingegneri si sono prodigati per creare percorsi separati (corridoi, ascensori) e centraline per monitorare quanto avvenisse nelle stanze. Dei 40 pazienti in terapia intensiva, 34 erano uomini (85%), 61 anni l'età media di cui 42% con problemi di ipertensione, 57% cardiovascolari, 20% diabete di tipo 2. Illustra la posizione prona sperimentata sui pazienti per sessioni ripetute anche di dodici ore consecutive. Dal 3 aprile si sono considerati i valori medi di vitamina D attestati su una media di 11,6 ng/ml.
Conclude Giovanni Di Perri con riflessioni sulla grande trasmissibilità del virus, sul numero impressionante di asintomatici. Lamenta la “parsimonia” che ha determinato la mancata costruzione di nuovi ospedali e ricorda i 165 medici, 60 infermieri, 20 farmacisti tra le vittime del Covid.
Piergiacomo Oderda