Una vitamina 'spegne' il Covid. "Ma il ministero non ci ascolta"
Centinaia di studi mondiali dimostrano come l'uso della vitamina D migliori i pazienti affetti da Covid-19. Una ricerca italiana mette in relazione i raggi Uv ed i benefici correlati alla malattia. Ma il Ministero della Salute nicchia...
di Alessandro Ferro
In tempo di pandemia, si moltiplicano studi e ricerche scientifiche per combattere il Covid-19. Molte di queste, ancora ampiamente sottovalutate, riguardano l'uso della vitamina D che fornirebbe più di un prezioso aiuto contro la malattia riducendo la mortalità e limitando gli effetti potenzialmente letali del virus.
L'Accademia di Medicina di Torino ha istituito un gruppo di lavoro coordinato dal Prof. Giancarlo Isaia, Specialista in Endocrinologia, Medicina Interna e Medicina Nucleare del Dipartimento di Scienze Mediche dell'Università di Torino e da Antonio D’Avolio, Professore di Farmacologia all'Università di Torino che hanno elaborato un documento, inviato alle autorità sanitarie nazionali e regionali, che riporta le "più recenti e convincenti evidenze scientifiche sugli effetti positivi della vitamina D, sia nella prevenzione che nelle complicanze del coronavirus". Il documento ha già ricevuto le firme di 65 medici di ogni parte d'Italia.
Cosa dicono gli studi
Ad oggi, sono più di 340 i lavori sviluppati in tutto il mondo durante il 2020 e pubblicati su PubMed che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D (carenza di vitamina D) nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid-19, soprattutto se in forma severa e di una più elevata mortalità ad essa associata. In uno studio osservazionale di 6 settimane su 154 pazienti, la prevalenza di soggetti ipovitaminosici D è risultata del 31,86% negli asintomatici e del 96,82% in quelli che sono stati poi ricoverati in terapia intensiva, un dato incredibile. In pratica, quasi tutti i "carenti" hanno avuto complicazioni severe della malattia. Un altro studio americano retrospettivo condotto su ben 190mila pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione fra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli circolanti di '25OHD' (che è la vitamina). "Gli studi suggeriscono un'associazione tra carenza di vitamina D e rischio di infezioni virali del tratto respiratorio superiore e mortalità per malattia da coronavirus-2019. Questa relazione è anticipata, dato che la vitamina D ha numerose azioni che influenzano il sistema immunitario innato e adattativo", scrivono gli autori di questa ricerca. Per citare anche un terzo studio, in una sperimentazione clinica su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% (10/16) dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo (60.000 UI/die per 7 giorni), contro il 20,8% (5/24) dei pazienti del gruppo di controllo. Il colecalciferolo è una delle vitamine del gruppo D.
Vitamina D e raggi solari
Se tre indizi forniscono una prova, qui ne abbiamo a sufficienza. Pur non potendo citare tutti gli oltre 300 studi su questa materia, la conclusione è praticamente unanime: la vitamina D può 'bloccare' il virus, fa bene all'organismo e non ha controindicazioni. "Questi dati forniscono, a nostro giudizio, interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana, che in Italia è in larga misura carente di vitamina D", afferma il Prof. Isaia intervistato in esclusiva per ilgiornale.it. Anche se sono necessari ulteriori studi controllati, la vitamina D sembra efficace contro il Covid-19 sia per la velocità di negativizzazione, sia per l’evoluzione benigna della malattia in caso di infezione se somministrata con obiettivi di prevenzione soprattutto nei soggetti anziani, fragili e istituzionalizzati. "La vitamina D ha effetto attivo sull'immunità potenziando le nostre difese: se la diamo, riduciamo l'evoluzione clinica sfavorevole. Se si deve beccare, il virus si becca ugualmente ma riteniamo, ragionevolmente, che la vitamina D sia un'arma per arrestare il decorso sfavorevole dovuto al Covid e ridurne la mortalità", sottolinea lo specialista.
Lo studio italiano. "Abbiamo fatto un lavoro in cui si è valutata l'intensità dei raggi ultravioletti in Italia nel periodo giugno-dicembre 2019. In collaborazione con Arpa ed Enea, usando i sistemi satellitari abbiamo visto una sorprendente (fino ad un certo punto) la correlazione tra questi due valori: i raggi ultravioletti di tipo B, quelli che danno la vitamina D, migliorano nettamente la situazione", ci ha detto Isaia. L'esempio lampante è tra le città di Lampedusa e Bolzano, messe a confronto sia singolarmente (sui rispettivi numeri di infetti e decessi) ma anche su scala nazionale, ed è il risultato è stato incontrovertibile: man mano che si procede da sud verso nord, il numero di persone contagiate e decessi sale esponenzialmente.
Lampedusa e Bolzano, messe a confronto sia singolarmente (sui rispettivi numeri di infetti e decessi) ma anche su scala nazionale, ed è il risultato è stato incontrovertibile: man mano che si procede da sud verso nord, il numero di persone contagiate e decessi sale esponenzialmente.
Raggi Uv determinanti. "Non c'è dubbio che la correlazione tra raggi Uv e la manifestazione clinica della malattia è molto significativa ed è dovuto a due fattori: la vitamina D ha costruito la pelle dei siciliani nel periodo precedente ed i morti inferiori ad altre regioni sono stati l'effetto diretto dei raggi Uv sul virus", ha affermato Isaia. In pratica, la pelle agisce facendo da schermo, da barriera contro il virus ed i raggi ultravioletti lo fanno secco in un tempo nettamente inferiore a tante altre condizioni climatiche più tipiche del Nord Italia. Il Prof. fa un esempio lampante che, quantomeno, dà spunti su cui riflettere. "La curva dei decessi a maggio è improvvisamente calata per tutta l'estate ed è ricominciata a salire ai primi di ottobre. L'ipotesi è che i raggi Uv abbiano avuto anche un effetto diretto sul virus nel periodo estivo. D'estate gli assembramenti erano all'ordine del giorno ma non hanno causato mortalità".
"Meglio il sole degli alimenti". Ma qual è la differenza tra la vitamina D contenuta negli alimenti e nei raggi solari? "Con gli alimenti se ne introduce pochissima: di fatto, si calcola che l'intake alimentare non superi il 20% del fabbisogno, gran parte la prendiamo quando siamo d'estate al mare", ha spiegato Isaia, raccontando che viene immagazzinata nel tessuto adiposo della pelle con un meccanismo tipo 'powerbank', ed il nostro orgamismo la consuma durante l'inverno. Il problema degli anziani è che ne prendono poca e, di conseguenza, ne sintetizzano poca: "Abbiamo contestato ferocemente il tenere chiusi gli anziani durante la seconda ondata, è stato un errore colossale".
Zero effetti collaterali. Qual è adesso la strada da seguire? L'accademia torinese ha inviato il documento a 76 istituzioni regionali con l'idea di suggerire uno studio clinico, anche perché la vitamina D non ha alcun effetto collaterale. "Per dare un'idea, il fabbisogno medio di una persona sana è di mille unità al giorno: ai malati di Covid sono stati somministrati, sia in prevenzione che in terapia, addirittura 60mila unità al giorno di vitamina D per una settimana-dieci giorni senza alcun effetto collaterale".
Lo scetticismo del Ministero della Salute
Una circolare del Ministero della Salute con oggetto “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sar-Cov-2” dove vengono elencate varie indicazioni riguardanti anche diagnosi, indicazione per la gestione di casi e focolai nelle scuole e principi di gestione della terapia farmacologica, il Ministero specifica che "non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato", firmato da Giovanni Rezza, attuale Direttore generale.
"Autorizzato anche in Regno Unito". "Nonostante tutti i dati scientifici, il Ministero della Salute ha fatto una circolare il 30 novembre dicendo che nelle cure domiciliari di Covid-19 la vitamina D non è indicata perché manca 'un'evidenza scientifica sufficiente'. L'ho contestata perché non è vero: l'evidenza non c'è per altre vitamine ma c'è, eccome, per la D", spiega il Prof. Isaia rifacendosi al caso della Gran Bretagna dove il primo ministro Boris Johnson ha già autorizzato all'utilizzo della vitamina D per 2,7 milioni di britannici. Sulla stessa lunghezza d'onda anche la Royal Society che ha affermato che "non c'è nulla da perdere e tutto da guadagnare". "Abbiamo fatto l'appello, firmato da 65 medici, ed un sito americano sta raccogliendo le firme dei medici di tutto il mondo (me compreso) ed è già a 200. Non capisco perché il Ministero si ostini a non autorizzare la vitamina D".