"La Chirurgia in Piemonte. Storia di una Scienza e di una Regione". Prof. Mario Nano
Tra vetusti libri di medicina conservati nella biblioteca della casa editrice Minerva Medica di fronte all’Ospedale Molinette di Torino, incontriamo il prof. Nano per scorrere insieme a lui questioni, figure, personaggi presenti nel suo nuovo libro “La Chirurgia in Piemonte. Storia di una Scienza e di una Regione” (Edizioni Minerva Medica, 2021). Nel primo capitolo che spazia dall’anno Mille fino al Seicento, emerge anche il ruolo della Chiesa, “il fiorire degli studi anatomici fu favorito dalle concessioni della Chiesa. Sisto IV, Pio IV e Clemente VII autorizzarono lo studio del corpo umano, se pure solamente per quanto riguarda i cadaveri dei condannati a morte”. «Le autopsie nel Medio Evo erano profondamente proibite perché andavano ad intaccare il corpo umano, creatura di Dio. Quando le epidemie di colera e di peste si diffusero in tutta Europa provocando milioni di morti, la Santa Sede cominciò a pensare che se forse i medici avessero capito un po’ di più del corpo umano magari molte vite potevano essere salvate. Così questi papi permisero le autopsie ma solo sui corpi dei condannati a morte che erano i reietti della Chiesa». Solo nel 1761 con l’opera “De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis” (Giovan Battista Morgagni) si inaugura lo studio attraverso l’autopsia del rapporto tra corpo umano, malattia e morte.
Ricorre nel testo la questione della separazione tra le due carriere, Medicina e Chirurgia. «Continuò ad andare avanti fino a quando si capì che il medico doveva conoscere necessariamente una branca e l’altra per poter eseguire bene la sua professione. Perché era tanto difficile unificare la facoltà di Medicina e la facoltà di chirurgia? Era una questione di interesse perché nei due corsi molte cattedre erano doppie e unificare i due corsi voleva dire abolire almeno una delle due cattedre. La proposta dell’unificazione delle due facoltà a Torino era stata messa all’ordine del giorno a metà dell’Ottocento e con un colpo di mano nel Parlamento viene improvvisamente cancellata la sera prima. Riberi lo viene a sapere, si fa ricevere alle dieci di sera da Carlo Alberto che gli firma un decreto di legge per cui le due facoltà vengono unificate».
Mi incuriosisce la figura dei barbieri-chirurghi, «erano la mano operativa dei medici. I medici si ritenevano delle entità intellettuali, non eseguivano niente di manuale. Siccome il salasso era un rimedio fondamentale per tutte le patologie, bisognava incidere una vena e questo lo facevano i medici chirurghi. Era il medico che diceva quale vena incidere, quanto sangue fare uscire però l’atto materiale lo eseguivano i barbieri chirurghi».
Mario Nano approfondisce un problema annoso e per certi versi tuttora esistente, lo scontro fra l’Ospedale e l’Università che nasce proprio con le costituzioni universitarie create da Vittorio Amedeo II. «L’Ospedale aveva un suo organico, l’Università ne aveva un altro. Il chirurgo universitario era preparato dal punto di vista teorico ma un po’ meno dal punto di vista pratico. Spesso i chirurghi universitari erano meno bravi dal punto di vista tecnico dei chirurghi ospedalieri, facevano non solo chirurgia ma dovevano insegnare, preparare le lezioni. Questo processo si è portato avanti nel tempo fino ai giorni nostri quando gli ospedali sono diventati Aziende ospedaliere, dagli ospedali si pretende la produzione economica, non solo di salute. Conta molto il numero di interventi eseguiti. Un piccolo assaggio di questo l’ho pagato sulla mia pelle quando ero ancora direttore della struttura chirurgico universitario. Venni “richiamato” dal Direttore amministrativo dell’Ospedale perché il numero degli interventi della mia divisione era inferiore del numero di interventi della corrispondente divisione ospedaliera. Gli spiegai che se devo insegnare agli specializzandi ad operare un’ernia ci metto il doppio del tempo rispetto al primario ospedaliero che opera. E’ ovvio che dal punto di vista amministrativo la chirurgia universitaria produce di meno ma non produce soltanto interventi, produce cultura, preparazione per i chirurghi di domani».
Nell’Ottocento, l’anestesia cambia la psicologia del chirurgo ed il suo rapporto con il paziente in sala operatoria. «L’anestesia ha rivoluzionato la chirurgia! Fino all’avvento della moderna anestesia, la prima dote del chirurgo era quella di essere veloce perché il paziente in pratica non era anestetizzato. L’anestesia fino ai primi dell’Ottocento era una derivazione della vecchia Spongia somnifera del Medioevo cioè oppio, mandragora e belladonna. Soltanto con l’arrivo della nuova anestesia, etere e cloroformio, si può parlare di una chirurgia anatomica fatta con calma, tranquillità. I chirurghi della generazione precedente l’anestesia erano abituati a sentir urlare il paziente, a fare tutto di corsa e non riuscivano a capacitarsi che il paziente fosse calmo e tranquillo e potessero andare con calma».
Il 10 settembre 1841 poco prima delle nove del mattino Carlo Alberto accompagnato da uno strettissimo gruppo di collaboratori visita a sorpresa l’ospedale San Giovanni. «C’era un grande interesse a far parte del consiglio direttivo del più grande ospedale del Piemonte. Viene messa una pulce nell’orecchio al re facendo credere che il consiglio direttivo in carica non è in grado di gestire questo grande ospedale. Il re Carlo Alberto che era abituato a prendere delle decisioni in modo conscio prima di annullare, licenziare i membri del consiglio direttivo vuole rendersi conto di persona e va a sorpresa a vedere come funziona il San Giovanni. Le persone che lo incontrano fanno finta di non conoscerlo e questo scandalizza molto. Perché Carlo Alberto era facilmente riconoscibile? Era l’uomo più alto del regno, 2 metri e 2 centimetri! Una persona di questa altezza sarebbe riconoscibile anche oggi, figuriamoci a quel tempo in cui l’altezza media della popolazione era inferiore.
Giacinto Pacchiotti organizza nel 1880 a Torino il Terzo Congresso Internazionale di Igiene (dopo Bruxelles e Parigi), “Torino era un punto di riferimento per i protagonisti del Positivismo scientifico italiano e straniero”.
«Torino è effettivamente stato uno dei grandi punti di riferimento del Positivismo internazionale, basti pensare al fisiologo Molechot, al grande patologo Bizzozzero che avevano svecchiato la facoltà di medicina non senza scontrarsi con altri colleghi. Pacchiotti, primo patologo chirurgo d’Italia, era anche uno studioso di igiene, fondò il primo ufficio d’igiene al mondo e portò a Torino il terzo congresso mondiale. Dobbiamo a lui il moderno impianto fognario di Torino. Era un chirurgo di vastissima cultura, lasciò tutta la sua eredità al comune di Torino, creò un numero elevato di borse di studio e addirittura un posto da assistente che è rimasto attivo fino agli anni Cinquanta del Novecento. Una grandissima figura che fa capire quanto la facoltà di medicina di Torino dalla fine dell’Ottocento ai primi del Novecento sia stata all’avanguardia scientifica. Oggi di sicuro non è da meno!
Venerdì 10 dicembre alle ore 17, il libro viene presentato in Accademia di Medicina di Torino (via Po 18).
Piergiacomo Oderda